da per tutto il Regno.
Pochi giorni avanti la chiamata del re il cancelliere volle pigliare una riprova infallibile de' suoi sentimenti verso di lui, in questa maniera. Gli scrisse una lettera colla cifra ordinaria del re ed in persona dell'istesso re, nella quale gli domandava, per compimento di tanti e sì rilevanti servizi resigli, volesse dirli schiettamente come s'era portato il suo cancelliere, e quanto poteva promettersi della sua fede nell'avvenire. Il cavaliere, che amò meglio l'esser fedele al re che al ministro, gli rispose che, quanto alla fede, l'aveva riconosciuta sempre integrissima, che del resto non aveva il cancelliere per il maggior politico del mondo, e che averebbe desiderato in lui maggior circospezione nel parlare: non perché avesse mai mancato, ma sulla sola considerazione che il silenzio era l'anima de' grandi affari. Ciò diceva egli perché il cancelliere, vanissimo millantatore d'ogni suo pensiero, appena concepiva una cosa vantaggiosa per il re, che la gola d'esserne applaudito l'induceva a farne tante confidenze a questo o quello, che o prima o poi inciampava nella spia del Cromuell, e il bel disegno svaniva. Ora chiaritosi il cancelliere per questo verso del Morland, ed assicurato con qualche artificio ch'ei non tornerebbe a parlare al re sopra questo particolare, non gliela perdonò mai. Proccurò il cavaliere con un viglietto di scusarsi seco: confessando il fatto e giustificandosi il cavaliere fece sempre a credere che l'ingannasse. Basta, che le sue remunerazioni finirono in un titolo di cavaliere baronetto ed una pensione di 500 lire.
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Regno Cromuell Morland
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