1 maggio.
Stamane sono stato alla messa a Nostre Dame, chiesa grande, ma per metropolitana d'un Parigi non si può dir grandissima. Di lunghezza l'ho per minore di Santa Maria del Fiore, ma non di larghezza, anzi l'ho per più larga, perché sebbene la nave di mezzo è più stretta, a metter insieme le prime due laterali e le seconde dove son le cappelle, credo indubitatamente che occupino spazio maggiore del nostro duomo. L'architettura è gotica, ma tutta la fabbrica è di pietra di taglio. Davanti al primo pilastro della nave di mezzo, all'entrare a man dritta v'è com'una montagna irrigata da un fiume, éntrovi un San Cristoforo di statura gigantesca, il tutto di pietra, ma d'una scultura che par dello stesso maestro che fece in Firenze il famoso San Paolino fuor della chiesa de' Carmelitani Scalzi.
Dopo desinare sono stato alla conversazione di m.r Justel, essendosi trasferito a domattina l'andare alla libreria: v'erano sei o sette persone, tra le quali un certo m.r Vaumal, grande amico e corrispondente di m.r Erbelot. Quando parlerò di questa assemblea, alla quale ho dato ordine al mio fratello d'introdurmi, lo farò in termini molto diversi da quelli onde son per scriverne a V.S. Io non so ancora come siano l'altre: so ben che questa è un crocchio effettivo sull'andar di quello del Rontino libraio, o di quello de' Capi nello speziale di piazza Madonna. I discorsi sono stati di nuove, ma discorsi sull'aria de' nostri pancaccini di Firenze; gran conti si son fatti sull'aver di questo e di quello: ed ho fatto una riflessione, che molti che non avevano aperta mai bocca, quando s'è messo in campo il discorso delle buone tavole di Parigi, hanno subito messo il becco in molle, tanto può nel genio della nazione la leccornia del mangiare e il far buona cena.
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