egli fa senator chi ei vuole, fatti che gli ha non li può più disfare,
entrano subito a parte di quella pretensione che mira a metterlimiti all'autorità reale, appoggiandosi sulle leggi del Regno,
l'aperta infrazione delle quali non può non essere sempre pericolosa:
perché, sebbene i popoli odiano generalmente le persone de'
senatori per ragion del loro fasto, della loro arroganza e dellaloro venalità, amano nondimeno le loro leggi, e non saprebbono
facilmente comportare di vederle conculcate in pregiudizio delsenato, più di qualsivoglia altra cosa. Insomma bisogna considerare
il re in ordine al senato, come quel seme che è il principio,
anzi l'unico e necessario principio dell'albero, e senza 'l qualel'albero non verrebbe mai; ma egli è ben vero che, una volta
l'albero n'è uscito, getta subito le sue radici nel terreno e s'affermiscein quello, senza che per sussistere gli sia più necessario
né l'appoggio né il nutrimento del seme che l'ha prodotto.
Del resto il re non solo fa tutte quelle cose che non cadonoin controversia, come sono l'amministrazione della giustizia, che
si fa sempre in suo nome, la distribuzione di tutte le cariche dellacorte, della milizia e del Regno, fabbricar vascelli, levar soldati
del suo, gratificare colla donazione delle terre che appartengonoalla corona, disporre liberamente delle proprie finanze, far nobili,
conti e baroni; ma ne fa ancora molt'altre, le quali forse, a beneesaminarle, non potrebbe fare, come sarebbe a dire: non potrebbe
fare allianze straniere, e le fa, non può alterare i privilegi delle
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Regno Regno
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