Il fatto è, ch’ella ci conduce un pezzo innanzi nel cammino delle filosofiche speculazioni, ma poi ella ci abbandona in sul bello: non perché la geometria non cammini spazi infiniti, e tutta non trascorra l’università dell’opere della natura, secondo che tutte obbediscono alle matematiche leggi onde l’eterno intendimento con liberissimo consiglio le governa e le tempera, ma perché noi di questa sì lunga e sì spaziosa via per anche non le tenghiamo dietro che pochi passi. Or quivi dove non ci è più lecito metter piede innanzi, non vi ha cui meglio rivolgersi che alla fede dell’esperienza; la quale, non altrimenti di chi varie gioie sciolte e scommesse cercasse di rimettere ciascuna per ciascuna al suo incastro, così ella adattando effetti a cagioni e cagioni ad effetti, se non di primo lancio, come la geometria, tanto fa che «provando e riprovando» le riesce talora di dar nel segno. Conviene però camminar con molto riguardo, che la troppa fede nell’esperienza non ci faccia travedere e n’inganni; essendoché alle volte, prima ch’ella ci mostri la verità manifesta, dopo levati que’ primi velami delle falsità più palesi, ne fa scorgere certe apparenze ingannevoli c’hanno sembianza di vero, e sì lo somigliano: e sono queste que’ lineamenti indistinti che traspaion fuori da quegli ultimi veli che la bella effigie della verità ricuoprono più da presso; per la finezza de’ quali apparisce taloro lucidata sì al vivo, c’altri direbbe: ell’è del tutto scoperta. Quivi adunque fa di mestieri l’intendersi da maestro delle maniere del vero e del falso, e usare dell’ultima perspicacia del proprio giudizio, per discerner bene s’ell’è o non è; il che per poter far meglio, non v’è dubbio ch’e’ bisognerebbe aver veduto alcuna volta la verità svelata; ed è questo un vantaggio che hanno solamente coloro che degli studii della geometria hanno preso qualche sapore.
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