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A un Barbio assai grandicello gonfiarono stranamente gli occhi, e il medesimo voltato supino, distendendo l’ale come intirizzate, spalancando le orecchie ed enfiandosi in tutto il corpo ne venne in sul fil dell’acqua. Tentò più volte con guizzi diversi e con forze maggiori di ritornare alla sua giacitura, ma non potette. Passati sei minuti d’ora, essendo sopravvenuta l’aria, gli occhi incontanente si disenfiarono, e quantunque il torace ritornasse alla sua giusta misura, fu nondimeno costretto a dar in fondo sempre boccheggiando senza mai più potersi riavere a galla. Cavato in altr’acqua indi a poco morì. Aperto si trovò la sua vescichetta tutta raggrinzata, a segno che maggiore e più turgida parve esser quella d’un altro pesce sparato vivo, ben cinque volte di lui minore.
Un’Anguilla vi stette un gran pezzo senz’ammortirsi né perder punto di sua vivezza. Ma finalmente in termine d’un’ora morì anch’ella, e la sua vescica fu trovata sgonfia come quella degli altri pesci.
Un altro Barbio stato similmente nel voto e medicato prestissimo con l’aria per gran ventura n’uscì vivo. Questo ci venne voglia di mettere in un vivaio dov’erano degli altri pesci, e l’acqua alta più d’un braccio e mezzo. Quivi adunque, o fosse caso che gli tornasse comodo il far così, o sì veramente necessità impostagli dal passato accidente per lo sgonfiarsi della vescica, egli è certo che in tutto il tempo ch’ei visse (che fu intorno a un mese) per molto che se gli desse la caccia spaventandolo e agitando l’acqua, non fu mai veduto sollevarsi come facevano gli altri pesci, ma sempre andarsene terra terra notando con la pancia rasente il fondo.
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