L’effetto non fu punto diverso da quello del primo vaso fatto di piastra, poiché tutte creparono in diversi modi; a quali spiccandosi di netto il collo; quali per l’irregolarità della figura o per l’inegualità del cristallo scoppiando da un lato, e quali per tutto il loro corpo minutamente fendendosi. E fu notato che il distaccamento del collo seguiva allora principalmente che sotterrandosi tutta la palla nel ghiaccio l’acqua di esso collo, come in minor quantità, era la prima a fermarsi, e forse a inclinare nella piegatura il cristallo. Quindi poi nell’agghiacciarsi il rimanente dell’acqua facendo sforzo per ogni parte, o perché trovasse quella del collo già indebolita, o perché l’acqua agghiacciata in esso le servisse di bietta o di conio contro il vano interno del medesimo collo, le riusciva facile il distaccarlo: il che non seguiva poi quando la parte superiore della palla si lasciava scoperta e affatto fuori del ghiaccio. E quanto si fosse l’impeto di tal rarefazione si può comprender da questo, che quando i colli non erano fitti all’ingiù, nel troncarsi volavano all’aria fin all’altezza di due e tre braccia, scagliando all’intorno di molto ghiaccio di quello onde le palle erano ricoperte.
QUINTA ESPERIENZA
Ci risolvemmo finalmente a far gettare una palla d’ottone (67) tutta d’un pezzo della grossezza in circa di due piastre, la quale non avesse altra apertura che da piede, ma in guisa da potersi serrare con una saldissima e perfettissima vite. A fine poi di poterne cavar intera la palla del ghiaccio, vi facemmo delicatamente accennare all’intorno un graffio, sul quale subito seguito l’agghiacciamento rimettendola in sul torno si potesse segare.
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