Questo però fece all’acqua un giuoco mirabile poiché quando volle agghiacciare si fece di quivi a schiantarla, valendosi di quella insensibil disuguaglianza che quel leggerissimo taglio aveva indotto nella grossezza del metallo. Per lo che rifattasi un’altra palla, (68) e senza punto indebolirla in alcuna parte messa nel ghiaccio scoppiò nondimeno ancor’essa come tutte l’altre (che furon molte) in quel luogo che di man in mano dovette tornar meglio all’acqua il farle crepare.
SESTA ESPERIENZA
Si provò per ultimo con una palla (69) di finissim’oro grossa quant’è il profilo accennato nella figura. Questa avendo retto a molti agghiacciamenti senza dare alcun segno di manifesta rottura, fu da principio cagione di non piccola maraviglia; e già per alcuni si cominciava a ragionare se lo spazio necessario alla rarefazione si fosse a sorte potuto cavare dalla grossezza del metallo, il quale per lo sforzo dell’acqua, mercé della sua morbidezza, s’andasse sensibilmente comprimendo, in quella guisa che per esser battuto lo stagno e l’argento e l’oro stesso si serrano maggiormente in tutta la sostanza loro. Ma essendosi poi osservato che dove la palla da principio si reggeva in piedi per essere alquanto schiacciata nel fondo, dopo che vi furon fatti i suddetti agghiacciamenti non si reggeva più; ciascuno assai di leggieri poté chiarirsi di dove questo luogo s’era cavato. E perché la palla ci pareva assai ben ridotta alla perfetta figura sferica, a fine di meglio assicurarci (caso che nel replicarvi altri agghiacciamenti non fosse crepata) s’ella si manteneva l’istessa o se pur andava qualche poco crescendo, facemmo fare un cerchietto o filiera d’ottone la qual la capisse per appunto nel suo maggior perimetro.
| |
|