Ma la verità si è che noi stentammo assai più che non ci saremmo mai dati ad intendere, prima di poter rinvenire alcuna cosa di certo intorno a’ periodi di questi accidenti. E per dirne più distintamente il successo, è da sapere che nella prima immersione che facevamo della palla, subito che ella toccava l’acqua del ghiaccio s’osservava nell’acqua del collo un piccolo sollevamento, ma assai veloce, dopo il quale con moto assai ordinato e di mezzana velocità s’andava ritirando verso la palla, finché arrivata a un certo grado non proseguiva più oltre a discendere, ma si fermava quivi per qualche tempo, a giudizio degli occhi, affatto priva di movimento. Poi a poco a poco si vedea ricominciare a salire, ma con un moto tardissimo e apparentemente equabile, dal quale senz’alcun proporzionale acceleramento spiccava in un subito un furiosissimo salto, nel qual tempo era impossibile tenerle dietro con l’occhio, scorrendo con quell’impeto, per così dire, in istante le decine e le decine de’ gradi. E siccome questa furia cominciava in un tratto, così ancora in un tratto finiva, imperciocché da quella massima velocità passava subito ad un altro ritmo di movimento anch’egli assai veloce, ma meno incomparabilmente di quello che lo precedeva, e con esso proseguendo a salire si conduceva il più delle volte alla sommità del collo e ne traboccava. In tutto ’l tempo che queste cose accadevano si vedeva alle volte venir su per l’acqua de’ corpicelli aerei, o fossero d’altra più sottile sostanza, ora in maggiore ora in minor copia, e questa separazione non cominciava se non dopo che l’acqua avea cominciato a pigliar il freddo gagliardo, come se la virtù di esso freddo avesse facoltà di cerner tali materie e di partirle dall’acqua.
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