Messa questa notizia in sicuro, cominciammo a cercar di quella del tempo preciso dell’agghiacciare; onde per acquistarla andavamo cavando a ogni poco la palla dal ghiaccio, né per molto che si spesseggiasse con tali osservazioni ci riuscì mai d’osservar in essa un minimo venamento di gielo, ma sempre o era tutta fluida o tutta agghiacciata. Quindi ci fu assai facile il conghietturare brevissima dover’esser l’opera dell’agghiacciamento, e che chi si fosse abbattuto a cavar la palla dal ghiaccio in quell’istante che l’acqua pigliava quella velocissima fuga, assolutamente alcuna notabile alterazione seguir in essa averia veduto. E perché col cavar e metter tante volte la palla nel ghiaccio si veniva a sconcertarle tutto il periodo delle sue mutazioni, di nuovo lasciatala puntualmente ridurre a quel primo segno, e messala nel ghiaccio, l’appostammo a quel grado ch’ell’era solita di concepire quel moto così impetuoso, e un mezzo grado innanzi ch’ella v’arrivasse la cavammo fuori. Allora riguardando con occhio continuo l’acqua della palla, che per la trasparenza del cristallo benissimo si riconosceva esser ancor tutta fluida e chiara, operando in essa (quantunque fuori del ghiaccio) il conceputo freddo, come fu a quel punto, con velocità inarrivabile all’occhio, anzi impossibile a concepirsi con la mente, levatasi su pel collo con quel grand’impeto, e dentro la palla perduta in un subito la trasparenza, e istantaneamente rimossa dal suo discorrimento, agghiacciò. Né vi fu punto da dubitare s’ell’era agghiacciata tutta, o se pure se l’era formata esteriormente una sottil crosta di ghiaccio: poiché osservammo benissimo che nello struggersi andava di man in mano staccandosi dal cristallo e rimpicciolendosi la palla del ghiaccio, finché ridotta della grandezza d’una minutissima lente la perdemmo di vista in quell’ultimo liquefarsi.
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