Par da considerarsi in questo luogo quanto si sia compiaciuto il Gassendo di quell’esempio trito addotto dagli Stoici per rappresentare al vivo come si faccia per l’aria l’invisibile propagazione del suono. Dicono questi che, sì come veggiamo l’acqua stagnante incresparsi in giro per una pietruzza che in lei si getti, e tali increspamenti andarsi via via propagando in cerchi successivamente maggiori, tanto ch’e’ giungono stracchi alla riva e vi muoiono, o che percuotendola con impeto, da essa per all’in là si riflettono, così per appunto asseriscono la sottilissim’aria dintorno al corpo sonoro andarsi minutamente increspando per immenso tratto, onde incontrandosi con tali ondeggiamenti nell’organo del nostro udito, e quello trovando molle e arrendevole, gl’imprime un certo tremore che noi suono appelliamo. Finquì gli Stoici senza proseguir più oltre: ma al Gassendo quadra così mirabilmente la proprietà d’un tal esempio, ch’ei vorrebbe pur adattarlo in tutto, e sì farlo tornare acconcio a spiegare anche le particolari proprietà del suono, una delle quali, come si disse, è l’inalterabil velocità del suo moto. Dice egli pertanto che questo imperturbabil tenore di velocità nel suono ritrae da un altro simile, il qual s’osserva ne’ suddetti increspamenti dell’acqua; i quali, a detta sua, non si fanno più velocemente o più lentamente, ma con pari velocità si conducono a riva, sia il sasso grande o piccolo, o cada col solo momento del proprio peso nell’acqua o vengavi da grandissima forza scagliato; il che, sia detto con pace di quel grand’uomo, abbiamo trovato esser falso, avendo noi osservato con replicate esperienze che quanto è maggiore il sasso e con quanta maggior forza è tirato in acqua, tanto i cerchi giungono più veloci alla riva.
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