Di queste, sigillate alla fiamma, una ne ponemmo nel ghiaccio e l’altra nell’acqua calda, dove lasciatele star qualche tempo, rompendo poscia a ciascuna il collo sott’acqua, osservammo nella calda riempimento soperchio di roba penetratavi, scoprendolo il gorgogliar dell’acqua dal gagliardo soffiar della caraffa appena ch’ella fu aperta. Lo stesso sarebbe paruto ad alcuni che dovesse seguire in aprir la fredda, quando il raffreddamento dell’aria di essa fosse proceduto in un modo simile al riscaldamento dell’altra, cioè per intrusione o inzeppamento d’atomi freddi spirativi dal ghiaccio per le vie invisibili del cristallo. Ma ne succede tutto l’opposto; imperocché in vece d’esalar materia soperchia parve piuttosto ch’ella dimostrasse votamento o perdita fatta d’alcuna cosa (se pur non fu ristrignimento di quella che v’era) succhiandosi in quello scambio tant’acqua.
QUINTA ESPERIENZA
Il vetriolo, cavato che se n’è lo spirito, rimane com’un tartaro o gruma di color di fuoco vivamente acceso, il quale con lunghissimo fuoco e continuo distilla un olio nero poco meno che inchiostro, di virtù fortemente corrosiva. Questo mescolato con acqua in certa proporzione vi produce immediatamente calore, il qual crescendo sensibilmente senza levar bollore né fumo, arriva a segno che il bicchiere dov’è tal mestura malamente si può comportar in mano. Succede lo stesso effetto a mescolarlo con tutti gli altri liquidi, fuorché con l’olio e coll’acquarzente, de’ quali il primo non s’altera punto dal suo stato naturale, e la seconda, se pur lo fa, lo fa per così dire insensibilmente.
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