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      Dico perciò che, se aveste conosciuto quel povero becchino, lo avreste, come me, amato e, aggiungo anche, onorato.
      Io, allora, ero quasi fanciullo; ma quando il brav'uomo morì, portavo già i peli del labbro superiore arricciati dispettosamente all'insù con quella boria de’ vent'anni, che sarebbe molto ridicola, se non fosse altrettanto innocente. Di quel tempo certi fumi si guardan con occhio benevolo, avvegnachè, più o meno, li abbiamo avuti tutti, quei fumi; e, invero, quella è proprio l'età delle leggerezze e delle scappatelle, le quali - ove non passino la misura o il segno - meritano sempre benevolo perdono.
      A quei giorni io credo che Tomaso Giona, soprannominato il Griso, andasse oltre i sessant'anni; e tuttavia quel numero di pasque se le portava bene. Alto della persona e segaligno, di proporzioni giuste, aveva fibra resistente e muscoli d'acciaio: e quattro lustri più tardi, ossia la bellezza di vent'anni dopo, quando vantava boriosamente i suoi ottant'anni, le gambe lo servivano ancor così bene, che non c'era caso ch'e’ mancasse una sol volta al pietoso suo ufficio. Nè questo soltanto; ma ei non cessò un momento dal coltivare il suo campo, di solcarlo co’ bovi e, secondo le stagioni, di lavorarlo bravamente con la sua zappa.
      Io correva in quel torno l'adolescenza beata, e allorchè lo incontravo in qualche sentiero remoto o all'aperta campagna, non mi parea vero di attaccar discorso con lui. Parlava con molta semplicità e buon senso, e forse per questo io provavo tanto piacere di trattenermi con lui, passando insieme qualche ora.


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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze
1900 pagine 256

   





Tomaso Giona Griso