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Il Griso trasalì.
- Io era stregato, proprio stregato, allora. Povera Nalda! Credo fosse in possesso degli spiriti maligni; correa voce che avesse il mal d’occhio.
- Lingua di vipera! - gridò, scattando il vecchio - lo so che correa quella voce tra gli stolidi e le comari rimbambite. Povera fanciulla! Orfana e santa; ha fatto bene a morire, ha fatto. Volete sapere di che male soffriva? Volete saperlo?
- Di che male dunque? - chiesi mortificato.
- Del verme dell'anima; così lo chiamava il sor magnifico, ch'era un'arca di sapienza, ei pure adesso coi più... Nalda amava il cielo, amava il mare, amava i monti e la solitudine, ecco; e per questo ella stava quaggiù a disagio.
- Il verme dell'anima! - sclamai intontito, distratto - Ah!
- Sicuro. Sentiva troppo, comprendeva troppo, amava troppo: la Natura l'avea creata infelice.
- Comprendo....
- È così! è così! Ma che avete, ora, che mi parete fuor di senno?
Mi scossi da quell'attonitaggine e, senza dar peso alle sue parole, seguitai:
- L'anno stesso che morì, nel mattino del mio onomastico, ella venne in casa e chiese della mamma. Recava un bel mazzo di fiori raccolti su per la collina poche ore innanzi. «Nalda, per chi sono quei fiori?» domandò la mia povera mamma.
Ella arrossì fin nel bianco degli occhi, e rispose sottovoce: «Per lui.» - «Per chi?» - Per....»
E posato il grosso mazzo sulla tavola della sala, scese precipitosamente le scale.
Il Griso, aggrondato, scuotendo il capo, sciamò:
- Comprendo, ora, quella vostra venuta nel camposanto in quel momento; è stato l'ultimo addio.
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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze 1900
pagine 256 |
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