- Capricci del tempo! - osservò Pelacane - Non li ho io presagiti? Me ne intendo bene! Vedono? La pioggia dirada; ma la nebbia ne avvolge. Quasi sempre così sul Giovo. Eccoci, eccoci!
Sostammo; ei mandò un fischio.
Una scena meravigliosa si offriva allo sguardo.
Il cielo era intieramente velato da una specie di vapore latteo, simile a tendone immane, le falde del quale scendevano lente lente lambendo i fianchi delle montagne; di quando in quando, giù dal fondo della valle saliva un clamore monotono e sinistro, un frastuono prolungato come quello d'una grandissima cascata d'acqua in lontananza. Sul nostro capo la spera del sole rassomigliava al disco della luna piena, nascosto per entro un nuvolone immoto.
Io feci ridere tutta la brigata gridando: «È l'occhio d'un Polifemo celeste, che sta spiando.» E tutta la valle era fantasticamente illuminata di una luce bianchiccia, smerigliata, intanto che sull'estremo orizzonte marino una lieve tinta rosata mandava un sorriso gentile nell'azzurro tersissimo di quella lunga e incantevole striscia di cielo.
Buffi di vento accrescevano la noia.
- O insomma - gridò spazientito il dottore - che si fa qui? Ti prendi forse giuoco di noi, grullaccio d'un Pelacane?
E questi calmo:
- Par un castigo del cielo: acquerugiola, nebbia e una sizza che taglia la pelle.... E mandò un nuovo fischio.
Sull'istante, un grosso cane da pecoraio saltellava abbaiando in mezzo a noi; i compagni gli risposero con un concerto di latrati: una musica infernale.
- Olà, cheti, voialtri!
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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze 1900
pagine 256 |
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