Non c'era in vero da farsi pregare. Poche parole, qualche stretta di mano, e l'accomodarsi fu sollecito. Il vecchio aveva ragione; in quel momento uno squallido e quasi diroccato pecorile valea una reggia.
Pelacane, tutto affaccendato, pareva il padrone; faceva domande, dava risposte e con garbo preveniva bisogni, intanto che il furioso sbizzarrirsi della pioggia destava in noi quella viva compiacenza, che viene naturalmente dal senso della sicurezza. Il rozzo focolare con la sua cappa affumicata era tanto ampio, da bastare al bisogno di molte persone. Un mucchio di tizzi, rimessi sollecitamente per bene su la brage con due manate di stipa, destò la baldoria con scintille che pigliavan la gola del camino come anime dannate, e con una vampa, che pareva festeggiare gli ospiti inattesi. Posati gli schioppi, sedemmo intorno alla meglio, premurosi d'asciugarci gli abiti, e dando la stura al buon umore. In fondo, nell'oscurità dell'ovile, rannicchiate e quiete, se ne stavano alcune bestiole ammalate, quelle che non avevano potuto seguire l'armento. Una scala portatile metteva al fienile, dove usavano riposare i pastori o pecorai, ben fortunati di quel giaciglio provvidenziale.
- Chiudi l'uscio - disse il vecchio ad Antonio - e piglia altra legna; non vedi? la fiamma muore, e questi signori son fradici marci.
- Bravo, papà Ginepro! Grazie. È quel che ci vuole, un buon fuoco.
Pelacane recò nuova legna, e pochi momenti dopo un gran focarone illuminava festosamente la compagnia e l'ovile.
Il dottore sorridendo disse:
| |
La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze 1900
pagine 256 |
|
|
Antonio Ginepro
|