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Mio figlio Sansone - l'unico avuto dalla mia Caterina, buon'anima - a’quei dì s'era fatto un bel giovinotto: alto, robusto, pien di coraggio, non avrebbe avuto timore di cimentarsi con chicchessia; e io me la vivevo in pace, contento del mio stato. Salvo il pensiero della perduta compagna - l'avevo tanto amata, che non volli più sapere d'altre nozze -, nessun'altra cura o amarezza veniva a turbare quella mia quiete. Povera Caterina, donne come lei non se ne trova più!
Intanto, anche a Sansone era venuto il ticchio dell'amore; capricci, follie della gioventù! S'era e’ preso di Rosalba, figlia del pecoraio Gianluca, egli pur della Briga, il quale svernava sotto questo stesso monte, dov'era prima stato io, a sinistra del fiume, sulla via della valle; e la ragazza parea fatta a posta per lui, tanto che la loro unione era sempre stata il sogno della mia povera moglie, passata di vita senza poterla vedere. Ma or viene il bello, cioè vo’ dire il brutto: sentite.
Era la vigilia dei morti, e la notte già assai inoltrata; la cosa mi sta lì dinanzi agli occhi come se fosse adesso. Il cielo coperto qua e là di piccole nuvole; e d'ogn'intorno quiete: non si sentiva spirare un fil d'aria; le nostre bestiole tutte nel pecorile. Mio figlio era sceso a Toirano sin dal pomeriggio per trattar col beccaio la vendita di alcuni agnellini e, nel partire, m'aveva detto che al ritorno si sarebbe trattenuto da Gianluca per vedere Rosalba; non mi dèssi pensiero, se avesse tardato.
Quella sera adunque, data un'occhiata all'armento, me ne stavo qui seduto al fuoco mandando giù un bel pezzo di polenta annaffiata di latte fresco.
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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze 1900
pagine 256 |
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