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      Quand'ebbi mangiato, rattizzai il fuoco, facendo un'allegra fiammata: poi, ricordandomi della povera Caterina, mi diedi a recitare la terza parte del rosario in suffragio dell'anima sua. Finite le preghiere, di pensiero in pensiero il tempo passava. Non saprei quanto, ma rimasi un bel pezzo su quest'almanaccare: tra uno sbadiglio e l'altro, quando m'alzai, la notte avea di certo passato la metà del suo corso.
      Prima di salire al fienile, volli ancora osservare il tempo. Da per tutto una perfetta tranquillità; e le nubi essendosi dileguate, la luna, poco alta dal mare, lasciava distinguere non solo i luoghi, ma i cespugli ed i sassi. Chiusa la porta, salii a sdraiarmi con la fiducia di prendere subito riposo. Mi ero ingannato! Il mio covo di paglia divenne a poco a poco uno spineto doloroso; mi voltavo e rivoltavo su’ fianchi, scacciando le idee uggiose che, una dopo l'altra, venivano ad affollarsi dinanzi alla mente. Fatica sprecata! In quel disagio, mentre i pensieri mi portavano incessantemente a tempi migliori, ecco comparire l'immagine di mia moglie Caterina, che pareva guardarmi, guardarmi con una gran compassione. Io le feci cenno con la mano, come per allontanarla; ma essa a fissarmi con maggiore pietà, quasi volesse dirmi: «Povero Ginepro mio, sei solo come un cane!... Solo!... Solo!... Solo!...»
      Mi rizzai seduto, mandando un lungo sospiro; un vivo pentimento mi pungeva, di aver cioè permesso che Sansone, quella sera, si fosse allontanato; e pensavo sarebbe stato miglior consiglio scendere a Toirano il giorno dopo.


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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze
1900 pagine 256

   





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