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      Presto, in alto!
      Non gli si diede ascolto.
      Una nebbia fitta fitta avvolgea la falda della montagna: rimanemmo alquanto indecisi nell'avanzare ma il dottore, volendo finirla:
      - Non gli date retta - disse - a questo linguacciuto; la stanchezza lo farà tacere.
     
      Intanto, ci eravamo già allontanati un bel tratto dal pecorile.
      Il dottore accennò di piegare a sinistra.
      - Quello - disse volgendosi all'ingiù - è il sentiero che tenemmo stamani: osservate. In quel declivio, che vedete, al basso, si apre il Buranco.
      - Dio ce ne scampi! - gridò Pelacane - Mi par tuttavia di sentire quei brutti tonfi Ton! ton! ton!
      - Oh, questo tempaccio!
      - Insomma, dove si va? Che cosa si vuole?
      - Avanti sempre! S'ha egli dunque a riprendere la via di Bardineto?
      Sarebbe stata la più infelice delle idee. Il cielo si faceva sereno, le nuvole di Rocca Barbena erano scomparse. Ammusoniti e con le code basse, i cani pareano lamentare l'ozio forzato della giornata.
      E il dottore sorridendo:
      - Poichè il tempo si mette al bello e l'ora avanza, propongo di salire alla cima; compenseremo con un'escursione alpina la caccia perduta.
      - Il nostro assenso fu clamoroso.
      A un tratto, Pelacane che s'era rivolto all'ingiù, nella direzione dell'ovile, batte le mani e grida:
      - Oh, eccolo! è montato sul terrazzo; guardino! guardino!
      Ci volgemmo da quella parte.
      Ginepro in fatti, andando su e giù, faceva con le mani i più bizzarri segni, credendo forse di veder l'ombra di Gemisto salire e trafugarsi: era come spiritato, smanioso. A quella distanza non pareva che un fanciullo.


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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze
1900 pagine 256

   





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