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      Caso invero pietoso! Nessun sollievo aveva recato il tempo al suo cuor desolato, e ora più che mai il ricordo della spinta nel Buranco gli abbuiava la ragione e gli rodeva l'animo. Sotto l'incubo di questa manìa tormentosa non sospirava che di rivedere Rosalba, di chiederle perdono, e poi morire. In questo stato visse non so quanto errabondo per la Liguria, schivato, negletto, deriso, passando giorni di abiezione e d'inedia; e, in fine, capitò a Toirano, quasi scimunito e nell'ultima miseria. Il tempo che vi stette, fu lo zimbello dei fanciulli e degli scioperati: faceva gesti strani, scede e boccacce, campando con qualche tozzo di pane, raccolto qua e là sugli usci per elemosina. Nessun si curava di saper chi fosse, donde venisse o che volesse; e chi si doveva occupare d'uno stolido straccione? Però, a un tratto egli era scomparso dal borgo. Disperato, fisso nella sua idea e risoluto di troncar un'esistenza così insopportabile, prese l'erta dei Roccai, e proseguendo su e su, a guisa di scoiattolo, pel sentiero del San Pietro, ricoverò in fine sotto l'androne o portico a sinistra della chiesa. Lassù, visse uno o due giorni, mangiando erbe, spiando sempre il branco delle pecore, e soprattutto l'occasione di veder Testabianca, la quale col marito e il suocero svernava nel vecchio pecorile. Ma come imbattersi in lei e trovarla sola?
      Deluso sempre ne’suoi desiderî e sorpreso, quel mattino, dal temporale, vagò per la montagna, sinchè, sfinito di fame e di freddo, raggiunse la vetta; dove, salito sul picco, si lasciò andar giù a capofitto.


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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze
1900 pagine 256

   





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