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      Sansone, sin dal mattino aveva creduto di vedere uno sconosciuto errare per quel deserto, ma non ne fece caso. Sopraggiunta la bufera, si affrettò a spingere l'armento nella gran tana in alto; allora ne perdè affatto le traccie. Uscito in sul tardi, volle meglio speculare il tempo su per la salita, quando nell'avvicinarsi alla cima udì gemiti prolungati. Giunto a piè del picco, s'imbatteva nel giacente, che non tardò a riconoscere chiamandolo per nome affettuosamente.
      Indi a poco arrivava Rosalba, che andava in cerca del marito.
     
      CAPITOLO XIII.
     
      Attorno al suicida - Il perdono - La morte.
     
     
      Il tempo aveva mutato gli animi di Sansone e di Testabianca la quale, come si sa, stringeva la sua unione sotto gli auspicî del perdono. I successivi casi di Gemisto, le continue sventure, il suo ravvedimento e lo stato a cui era ridotto il giovane pastore, più disgraziato che colpevole, apersero i cuori a sensi di commiserazione e pietà.
      E come rimaner insensibili a così triste fine?
      Rosalba al nostro apparire fè un cenno significativo al marito:
      - I signori dei quali t'ho detto.
      - È Dio, che li manda! - sclamò lui - Guardino che disgrazia, guardino; - e, commosso, Sansone indicava il giacente.
      Gemisto aveva gli occhi lagrimosi, la bocca semiaperta, il viso soffuso di pallore terreo; parlava a stento con respiro affannoso.
      Il dottore gli tastò il polso; poi, strette le labbra, si volse verso di noi, proferendo commosso:
      - È in extremis.
      Contrito, Pelacane prese la fiaschetta di riserva e porgendola:
      - Un gocciolino - disse, - non le pare, sor dottore?


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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze
1900 pagine 256

   





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