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      Passan più giorni e il malanno, invece di scemare, ingrossa. Impensierito, il pover'uomo chiama il veterinario; ma questi, visitato l'animale, stringe le labbra, scuote la testa e: «Non ne capisco nulla,» dice. «La bestia è malata, ma non so di che male.» La puledra invero non si potea regger sulle zampe.
      Un bel giorno il Ratto s'incontra con un amico di Toirano, a cui confida la disgrazia; e quegli lo consiglia di andare dalla fata di Bosco Negro, la sola capace d'indicare il rimedio. Egli va e le parla. La veterinaria privilegiata guarirà la puledra, ma vuole in dono una farinata - fainâ(15) - coi fiocchi; e il povero Ratto giù lesto al Borghetto a confidarsi con 1'intimo suo Ciaccalin, che lo spinge a secondare subito la strana esigenza della fata.
      La farinata è cotta, e sul mattino i due amici, con la teglia ancor calda, sono a Bosco Negro, dove trovano la megera che, seduta sopra un enorme macigno, trinciava a destra e a manca segni cabalistici, accompagnati da parole misteriose.
      Le presentano la farinata, ed ella s'accinge a farne le parti, ma ahimè! le manca il coltello. - O non bastan le dita? - dice stizzito Ciaccalin. Ed essa: - Bestione che sei, vuoi tu rompere l'incantesimo? Almeno almeno un temperino! Ascolta un po’, Ratto. Corri alla stalla, alza alla povera bestia la gamba sinistra posteriore e osservane ben la zampa, sotto il ferro. Vi troverai confitto un temperinuccio; con animo e maniera lo estrai dall'unghia, e subito lo porti qui.
      Prese la via come un lampo e, giunto alla stalla, fece scrupolosamente alla bestia il servizio indicatogli dalla strega.


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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze
1900 pagine 256

   





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