Era divenuto uno spettro. Un giorno, girellando, s'imbatte in un'erba d'un bel colore: la strappa e se la reca alla bocca; gli parve dolcissima. Ma non aveva ancora finito di mangiarla, che si trasformò in un robusto somaro. Non dico del dolore e dell'umiliazione al vedersi sotto quella forma; non se ne sapeva dar pace; un somaro lui? e di che forza! Che sospiri! E che lagrime! Passan giorni e settimane, ed egli s'aggirava in quel deserto con la disperazione nel cuore, quando una sera arriva a una breve, solitaria costa, tutta coperta di ginestre fiorite. «Oh, il bel fiore! me ne voglio saziare;» e lì comincia lo strazio. Ma non ne aveva ingollato che pochi strappi, che già gli pare d'essere un altro, e tutt'a un tratto - che cos'è stato? - egli è quel di prima, un giovane libero e gagliardo, che non può star nella pelle. Sentendosi ben pasciuto ma stanco, s'addormenta, e in sogno gli è rivelata la strada e il modo di tornare al suo paese, dal quale era stato assente - così gli fa sapere un grazioso e buon folletto - un periodo di dieci anni! - Che ve ne pare?
Cominciava appena l'alba, ch'egli era già in cammino: va, va e va, e alla fine arriva. Ma chi lo conosceva più de’ suoi compaesani?
L'animo pieno di sdegno, s'indirizza subito alla casa delle due streghe. Entra; è riconosciuto: la fidanzata era divenuta una zitellona avvizzita, la madre un'ancroja. Lo accolgono con sorrisi e pianti, gli fan mille domande, voglion sentire i suoi casi. Ed egli, nascondendo i1 veleno che avea dentro, le asseconda nel miglior modo, tutto garbo e maniere; ma narra quel che gli piace, e tace quel che gli torna.
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La leggenda del Burando
Streghe folletti e apparizioni in Liguria
di Baccio Emanuele Maineri
Tipogr. Franceschini Firenze 1900
pagine 256 |
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