Finalmente al cadere delle prime foglie ebbe il permesso di tornare a Venezia, e d’ora innanzi quando incontrava un amico per via che si querelava di essere innamorato, gli suggeriva subito la cura di Conegliano; e perchè tutti gl’innamorati di professione potessero usare il portentoso rimedio, diffuse in rima lo stesso consiglio:
Lo provo adesso mi che parto sanPer dir a tutti i mii compagni: andè
A guarir da l’amor a Conegian.
Bel complimento codesto per le donne coneglianesi! Ma le donne di allora non sono quelle di adesso, gentili e belle - quantunque più gentili e belle sarebbero senza quel ridicolo e goffo sussiego di provincia che, con voce sbagliata, i campagnoli chiamano aristocrazia. Oggi aristocratici non ne esistono, e l’aroma della bellezza è lo spirito, la semplicità.
Riannodate le antiche amicizie, il Buratti cadde nelle reti di Vittoria Mondini. Cominciò col tenerle al fonte un bambino, e finì coll’averne uno da lei. Questa signora, rimasta vedova, sposò in seconde nozze il nobil uomo Andrea Da Mosto, grandissimo ammiratore del Buratti e raccoglitore delle sue poesie. Anzi è lui che ci narra quest’avventura in una delle note apposte ai versi dell’amico, e ce la narra, son sue parole: «perchè i posteri non debbano nulla ignorare.» Il Da Mosto era anch’egli poeta in dialetto, e non dei peggiori; ma trovata nemica la fortuna, e convinto che gli uomini del suo tempo non gli avrebbero mai conceduta una corona d’alloro, ebbe il peregrino pensiero di raccomandare alla memoria dei posteri la corona regalatagli dalla moglie.
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