Mi, che me trovava molto ben a Venezia, per un certo amoreto, e che no podeva resister a l’idea de lassar un paese al qual devo la mia riputazion vernacola, in confronto de Bologna, che me xe e me sarà in eterno odiosa per el caratere porco dei so abitanti,(38) ò fato solo contro de tuti, e fisandome l’assegno de domile ducati a l’ano, son restà solo ne la cara Venezia. Andava per altro ogni ano a saludar mio pare a Bologna, el qual me riceveva con tanto de muso, disgustatissimo de sta mia separazion, quantunque, in grazia de una rica donazion inter vivos che l’aveva fata ai so tre fioli, nol podesse negarme un dirito sul mio libero arbitrio a l’età de trentot’ani... Ogni ano cercava de pagar le spese del viagio batendoghela(39) ai fradei, che za no me dava gnente del soo, e che s’à pagà su la broca(40) a la morte del pare.»
Fermò dunque stabile dimora a Venezia per amore del suo dialetto e d’una donna cortese. La donna non la si deve contare, perchè i suoi amori avevano appena la vita d’una rosa, e questa causa cessava presto; molto conto invece si deve fare di quella che lo tenne incatenato a sè tutta la vita, e per la quale scoprì e raggiunse altezze superbe, non mai tentate da altri. Inutile chiedere in che modo: niuno lo sa; neanche il Buratti lo sapeva. Io posso affermare che egli non vegliò una sola notte sui libri; che a tavolino studiando, il sole non lo vide mai; che anzi un vero e proprio tavolino da studio nella sua casa non c’era. Posso affermare che tranne le ore dedicate al sonso, di giorno era sempre a zonzo a trovar l’innamorata, a cercarne di nuove, a udire pettegolezzi ed a farne, e che quando le stelle ridevano in cielo, egli rideva in terra con gli amici, gozzovigliava, tempestava satire, e si aspettava sulla schiena le nodose carezze del potere esecutivo di qualche vittima.
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