Appena la passavano liscia a un pover’uomo di provincia, che non poteva essere a giorno di certe cose, e che bevuto il caffè, se ne andava pe’ fatti suoi; ma un intruso di un altro genere, fosse pure semplicemente un curioso, era subito messo in burletta con allusioni e con epigrammi, cosicchè, per disperato, dovea fuggirsene a gambe. In quel torno il vero spirito veneziano fioriva ancora stupendamente.
Quasi le stesse persone che frequentavano il Senato di Florian si riunivano a sollazzo ogni sera, ma più per tempo, o all’attuale albergo della luna, allora semplicemente osteria, o in palazzo Pesaro a San Benedetto, famoso nel cinquecento per gli spettacoli degl’Immortali e della Compagnia della Calza, e nel secolo scorso per la società degli Orfei, che gli lasciò il nome.
Di questa riunione, come di tutte le altre, faceva parte il Buratti, e si può dire che fosse nel suo vero elemento. S’intitolava Corte dei Busoni - i latini avrebbero detto dei devirati - aggettivo, se non esattamente, certo meglio appropriato all’indole dei componenti che quello di Granelleschi ai letterati del palazzo Farsetti nel secolo scorso. Scopo della Corte predetta era, più che il sollazzo, l’orgia. Non accettava se non chi poteva debitamente provare di essere libertino di professione e sboccato per abitudine, e non tollerava i versi che fra i bicchieri, purchè fossero adatti al carattere della brigata. La presiedeva Nicola Soardi col titolo di duca, il quale ad ogni membro dovea conferire una carica adatta alle qualità fisiche o morali di lui.
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