In modeste proporzioni sembrava di essere in una specula, e di avere dinanzi mille astronomi osservanti due stelle.
- Chi sono?
- Le conosci?
- Le hai viste ancora?
- Son forastiere?
Queste le domande che si succedevano rapidamente, come le faville in certi fuochi d’artifizio, con l’ardore febbrile della curiosità. Ma nessuno sapeva chi fossero. E tutti gli occhi erano inchiodati a quel palchetto. Anche il Buratti avea un bell’aiutarsi con l’occhialino: neppur lui conosceva le adorabili figurine. Finalmente ritornava l’Ancillo. Tutte le poltroncine gli saltavano addosso:
- Chi sono?
- Le conosci?
- Le hai viste ancora?
- Son forastiere?
L’Ancillo dava una semplice occhiata a le belle incognite, sorrideva di compassione per quella turba ignorante, e cominciava a parlare, e parlava mezz’ora.
- Sono le tali, e tali, figlie di Tizio e di Sempronia. La maggiore ha tanti anni, la minore tanti. Vengono dal tale paese: ma sono spiantate. Tizio ha mangiata la sua fortuna; Sempronia la dote. Oh, ne ha fatte d’ogni erba un fascio quella donna!... Se le figliuole somigliano a lei!... Si parla anzi di un ufficiale...
Insomma non si ha esempio che l’Ancillo abbia detto di una signora: non la conosco. Venisse pure dalla Cocincina, dalla Terra del Fuoco, dal Missisipì, dal Polo Antartico, quell’uomo era sempre bene informato, come un policemen londinese.
Passate in rivista le novità, i due amici rivolgevano la loro attenzione alle vecchie conoscenze, e si comunicavano a vicenda le scoperte recentissime.
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