Fu deciso di denunziarlo al Governatore, di fargli consegnare una fiocca di bastonate. Il primo spediente parve migliore, e ai quindici di quel mese il Buratti fu dichiarato in arresto nella sua casa, e guardato a vista da un militare.(69) Sembrò a un tale troppo mite questo castigo, e si diè la pena di tradurre la incriminata lamentazione in francese, e di spedirla al Vicerè, onde aggravare la sorte del prigioniero. Altra briga si diede un certo Albrizzi, forse pagato, che rispose per le rime al Buratti, ma con versi che fanno venire il mal di mare:
Vegnì quà, sughève i oci,
No siè più col cuor strazzà;
Ve fa giacomo i zenochiChe me fa vera pietà.
Come amigo ve domandoPerchè eu (sic) dito che ridota
Sia Venezia sospirandoSquasi senza una pagnota?...(70)
E basta; non voglio abusare della pazienza di chi mi legge. Incomparabilmente migliore è un ammonimento che dava al Buratti con paterna affezione un anonimo, in forma di sonetto:
La verità proibida da la lege,
Una xe stada fra le gran razonChe v’à condoto a viver in preson,
Burati, per comando de chi rege.
Adesso chi ghe xe che ve protege,
Caro Pierin, se vu se stà un cogionA publicar cussì quela canzon,
De la qual el destin pur ve corege?
Imparè mò adesso a vostre speseChe comparir xe megio un visde...
Che spiritoso e aver de le contese;
Chè verità xe spesso un imbarazzo,
E le Muse xe sempre mal inteseCo del Governo le vol far strapazzo.
Il poeta fu custodito per trenta giorni, ma la premurosa amicizia del nobil uomo Giovanni Maria Contarini, impiegato di Polizia, gli alleggerì, per quanto fu possibile, la noia dell’isolamento.
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