Che cosa avrà detto l’infelice che vi dormiva l’eterno sonno? Nol so: ma il signor Commissario trovò questa dell’animale una situazione vantaggiosissima per fargli la festa. La spingarda fu caricata a mitraglia, ma ahimè! la mitraglia sfiorò l’epidermide, e nulla più. Fu ricaricata a palla, e la palla gli squarciò il ventre. Il Commissario di Polizia, che era lì che guardava, fu udito chiedere se il nemico fosse morto. La notizia della vittoria si divulgò in un lampo. Allora i curiosi crebbero a centinaia, e a centinaia offrirono aiuto. L’orologio della torre vicina batteva le otto.
Il cadavere pesava seimila libbre venete, corrispondenti a quattromila seicento e ottantadue di misura austriaca. Venti uomini, armati di funi e di leve, impiegarono un’ora a trasportarlo in una chiatta. Il governo lo acquistò per seimila lire, e la pelle impagliata si vede ancora all’Università di Padova.
Quest’avventura parve al Buratti così piena di episodi comici, da essere grave peccato lasciarla in oblìo, e la prese a tema di un poemetto in cento e quattro stanze: Storia verissima dell’elefante. Da capo a fondo vi aleggia un fine sarcasmo. Non si può averne idea che leggendolo tutto. Nel medesimo giorno in cui l’animale dovea partire, capitò a Venezia l’imperatore d’Austria, coincidenza singolarissima che al poeta non isfuggì. E scrisse:
Ma nel dì che fra i sbari e l’alegrìaDe suditi fedeli come nu,
De la quarta mugier in compagniaEl nostro bon Françesco xe vegnù,
Per dar una lumada(107) e netar via
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