» E si pose a terminare la Streffeide, lasciata incompleta, esclamando rabbiosamente: «son sta in preson do volte, e se mai dovesse andarghe la terza, m’ò proposto almanco de meritarmela, cavando la prima pele a quanti me xe vegnudi in te le sgrinfie».(116)
Rileggendo trovo che mi sono dilungato un po’ troppo su questo affare dell’elefante; ma il poemetto burattiano è considerato da tutti un capolavoro, ed è forse il solo, di questo poeta, che richieda un largo commento. Mi sono proposto due cose: di invogliare quelli che non lo conoscono a leggerlo, e di aiutarli ad intenderlo senz’altre ricerche. Può darsi che abbia fallito l’intento, e allora tu lettore, perdonami: fallano tutti.
VI.
Il Buratti marito e padre - Passatempi villerecci - Rossini a Venezia - La Semiramide, l’Addio busonico, e Madama Colbrant - Byron e l’appetito del conte Francesco Rizzo Pattarol - Satira - Un anonimo pone il Buratti in caricatura - Sua risposta - L’edizione ad usum Delphini - Sua ira e protesta - L’incuria della Polizia - Scusa i suoi versi liberi - Il Buratti artista - Un giudizio falso di Tommaso Locatelli - L’omo - Ipocrisia di Bartolammeo Gamba - Satira contro di lui - Come si dovrebbero giudicare il Buratti e il Baffo.
Il Buratti era ciò che comunemente si dice un originale; di quelli che hanno tante fasi quante la luna, e che è tutt’altro che facile indovinare. Gli uomini seri, dianzi accennati, lo giudicavano dalla satira che gli aveva schiuse le porte della prigione, e dal loro punto di vista non avevano torto; ma ben altro criterio si sarebbero fatto se avessero potuto conoscere il poeta nell’intimità della famiglia.
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