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      Che razon no ghe xe maiFin che fià ne dura in cuor,
      De mostrarse desperai,
      De avilirse dal dolor;
      Perchè aponto de sto globoLa perpetua rotazion
      Giusta el zoto, drezza el gobo,
      E rimete in opinion.
      La state e l’autunno li passava quasi sempre in campagna, e in quest’anno 1820 acquistò una villa a San Bughè, sul trivigiano dove, narrava «vado a sepelirme con tuta la famegia dal principio de la primavera fin dopo i Morti... e medico a furia de versi la noia de la vita campestre.» Ma questa noia era più una posa che altro. La campagna lo distraeva più della città, perchè tutto il giorno vi trovava occupazioni sempre nuove, dilettevoli e sane, null’altro che a girar le sue terre, da San Bughè a Preganziol, da Zero a Salzano, da Rio San Martino a Cassano, e da Cassano a Trebaseleghe.
      In autunno poi la vendemmia ed il raccolto lo affollavano di faccende:
      E ziro le campagne in giachetin,
      E me bruso fra i corni dei mercai,
      E spino la mia bóta e fazzo el vin;
      E baruffo coi tanti desperai,
      E co strenze el bisogno, no me restaChe una furia de crediti e de guai.
      Ma quando facea ritorno a casa, il sorriso de’ suoi bambini dissipava i fastidî della giornata, e fra sè ripeteva forse le strofe:
      Chi se lagna de sto mondo
      No gha in zuca un gran de sal.
      Ora chi mi sa dire perchè un tale uomo, così affezionato alla famiglia, facesse ancora parte della Corte dei busoni, e a costo di essere imprigionato un’altra volta, non desistesse dal satireggiare il prossimo?
      Nell’inverno del 1823 il Rossini si condusse a Venezia onde mettere in scena la Semiramide, accompagnato da madame Isabella Colbrant, l’avvenente spagnola che tutti ricordavano aver veduta molti anni prima al teatro Fenice amoreggiare col decrepito generale Menou, in un palco chiuso a griglia.


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Il principe dei satirici veneziani Pietro Buratti
di Vittorio Malamani
Tipografia dell'Ancora Venezia
1887 pagine 115

   





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