Adesso ella era diventata moglie del Cigno Pesarese, che del resto somigliava tanto poco ad un cigno, e che essendo morto all’amore, la rendeva infelice.
Lo splendido successo della nuova opera indusse la Corte dei busoni a offrirgli un pranzo d’onore, e il Buratti fu incaricato di scrivere un brindisi a nome della Corte «non senza far onorata menzione delle busoniche prerogative che distinguevano Rossini, fra i più gran porci conosciuti, e che lo costituivano modello unico.» Quel brindisi fu intitolato L’addio busonico, e incominciava:
Spandè pur lagrimeA goti, a sechi,
Ludroni zoveni,
Ludroni vechi:
L’onor primissimoDe l’armonia,
El Ludro classico
Sabo va via.
L’indomani, in versi verecondi, chiese il permesso a Madama Colbrant di recitare il suddetto brindisi in sua presenza, e lo recitò. Madama rise; io a ricordarlo appena divento di porpora. O Rossini! Rossini!
Viveva allora in Venezia un gentiluomo, grande amico di Giustina Michiel, famoso per una copiosa biblioteca straniera e per essere un gastronomo raffinato, Francesco Rizzo Pattarol. A sentire il Buratti, costui la pretendeva ad uomo di spirito senz’averne l’ombra; i suoi bons mots somigliavano a quelli d’un cattivo Arlecchino; sberteggiava pubblicamente un infelice fratello ebete, ed era vinto in grazia e nobiltà di maniere da un ragazzino moro che lo serviva. Lord Byron, che da gran tempo abitava le nostre lagune, compose un madrigaletto per la nascita di un bambino del console inglese, nel quale esprimeva il voto che il marmocchio crescendo imitasse la bellezza della madre, la virtù del padre, e l’appetito del conte Rizzo Pattarol.
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