Crede e vorrìa far creder che le belleL’amano, e il braman come ardenti cucce.(121)
Il Buratti rispose, ed è un dovere citare il brano corrispondente della risposta; mi spiace però che prendesse troppo in sul tragico la cosa, e ripudiasse la geniale musa paesana.
Tu menti, iniquo, e il tuo veneno è taleChe nel vergato abbominando inchiostro
Il molto falso al poco ver prevale.
Frangi l’orrido speglio; in quel dimostroNon son qual sono, e chi in me fissa l’occhio,
Grida pietoso: ah tu non sei quel mostro!
Pecco, gli è vero, un poco di rannocchio,
Ho finta chioma, ho grave il passo e tardo,
Sporgente il fianco, e a ghimbescio il ginocchio.
L’età matura ogni poter maliardoTolse al mio viso, e in la pupilla amore
Più non s’asconde per vibrare un dardo.
Ma s’ella ha scemo il giovanil fulgore,
Cispa ancora non è, nè la mia boccaPute, qual vuoi, di sepolcrale odore.
Nè a me di gobbo o di castrone toccaLo sconcio nome, chè piegata in arco
Non ho la schiena, e salgo ancor la rocca.
Quel tuo ritratto di menzogne carcoFallì sua meta, e chi pur me detesta
Si duol d’un biasmo di venen non parco.
Poffar Iddio, ci mancherebbe questa!
Di mie parrucche invan si chiede il saldoE la mia porta i creditor molesta!
O rime di assassino e di ribaldo!
Fammi ancor borsaiuol, vendi-paroleE scherni a josa, e vanne pago e baldo.
Io d’onesto banchier mi son la prole,
E di mendacio o di danar fraudatoMia pura coscienza non si duole;
Nè temo il creditore inosservatoVenirmi retro quando il cielo imbruna
Di quel baston che tu minacci armato.
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Buratti Iddio
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