Tu pianti poi vilissima carotaQuando me fingi ancor vecchio lascivo
Del gran carro d’Amor seguir la ruota.
Amor non fummi in altra età rubello,
Nè senza gloria a più d’un cor turbaiLa pace, e risi dell’altrui rovello.
Ma d’insultarmi, no, dritto non hai,
Se l’oro al fango mesci, e in carme oscenoCol mio d’altri l’onor più sfregi assai.
O gioventude scorsa in un baleno!
Ma le tue rose io più non merco adesso,
E m’imbriglia ragion con docil freno.
Vivo alla casa mia, vivo a me stesso,
A Lei che mi fruttò vaghi fanciulli,
Futura speme del gentil Permesso;
E a questi vivo, e l’oro dei Luculli
Vil parmi incontro a tal dovizia, quandoCoi bambini lor vezzi io mi trastulli.
Il Buratti aveva ragione, mi si permetta d’insistere su questo punto. Ormai conduceva una vita esemplare, e neanche gli uscivano dalla penna i liberi versi d’un giorno. Tuttociò si comprende. Il matrimonio insinua un rispetto maggiore alla donna, frena l’impeto delle passioni, tempera l’ingegno e lo ingentilisce. Ma il mondo no non comprese. Egli non crede alle conversioni: il Buratti aveva troppo riso, e non fu creduto. L’invidia e il rancore gli turbarono mai sempre la gioia domestica, e forse contribuirono a preparargli un colpo terribile, dal quale fu miracolo se uscì illeso. Questo colpo fu una cattiva edizione secreta d’alcuni de’ suoi componimenti più liberi, comparsa nei primi mesi del 1823 con la falsa data di Amsterdam, J. Looke e figlio, copiose note, e sul frontespizio il motto ironico: Ad usum Delphini. S’intitolava: Poesie e satire - di - Pietro Buratti - Viniziano - corredate di note preliminari - ed annotazioni scritte dallo stesso autore.
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