Io provo di questa disavventura tutta la dispiacenza, e di autore manomesso probabilmente nell’adulterazione delle cose proprie, e dell’ignoranza o della perfidia di chi l’ha derubato, e tutto il raccapriccio dell’uomo d’onore che vede resi di pubblico diritto i parti capricciosi d’un’immaginazione che, fidata nella discrezione degli amici, poteva in privato non reputarsi rea d’oltrepassare i confini. Egli è per ciò che, scosso nel più vivo del cuore da una turpitudine che ricadrebbe intieramente sul mio nome senza l’atto solenne d’una protesta in contrario, reclamo altamente il braccio di questa Politica Autorità perchè sieno vendicati i miei diritti, e colpiti col mezzo d’incessanti indagini gl’infami pubblicatori. La mano efficace della Polizia mi sia dunque di scudo. Ella è troppo giusta nelle sue misure per non confondere il colpevole con l’innocente, e per non aggravarmi di sospetti che alterar possano, più che la mia, la tranquillità di una moglie virtuosa e di quattro bamboletti che mi crescono intorno. Diversi forse erano i miei principii quando e ricchezza e gioventù e buon umore concorrevano assieme a seminarmi il cammino di rose, e a farmi cogliere sul Parnaso frutti vietati. Ora sconsigliato dagli anni, dalle circostanze, e dalla prudenza, io non vivo che per la quiete domestica, ed ho in questa la garanzia più sicura della mia condotta attuale, e tanto s’impegna l’umilissimo sottoscrittoPIETRO BURATTI.(123)
15 febbraio 1824.
Tale protesta salvò il poeta, ma non lo vendicò. Egli prese informazioni per conto proprio e seppe essere stata l’edizione condotta in Verona da quel Francesco Masotti che vedemmo figurare come testimonio nel processo per l’elefante, e che poi finì male; seppe che un Giuseppe Berti avea sborsata la somma occorrente, e che in Piazza San Marco portava nascoste alcune copie del libro sotto il tabarro, e le vendeva a un luigi d’oro, ventiquattro lire ciascuna.
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