Ma la Polizia finse di ignorare ogni cosa, come succede sempre in questo basso mondo, in cui la giustizia vien meno a chi più la invoca e d’invocarla ha bisogno; e il pubblico, per la maggior parte composto di padri di famiglia, di ipocriti e di nemici, trasformati in puritani per l’occasione, si levò in coro contro il Buratti, credendolo senz’altro il promotore della stampa ad usum delphini. Ma egli era giudice severissimo degli errori suoi giovanili. «Questa raccolta» - scriveva in proposito dei componimenti manoscritti - «non è per dire il vero uno dei codici morali che si prepara allo sviluppo del primogenito, nè mal a proposito si ride su questa secreta edizione ad usum Delphini. Non sarà mai vero ch’io ne ambizioni la stampa, rinunziando ai riguardi verso tanti, fatti segno dell’intemperante mio delirio. Bensì dichiaro solennemente che mi fu sprone a questo genere di poesia, più che la rabbia del satirico, una certa innata giovialità, che non può serbar la misura una volta che la rima concorre spontanea a renderlo più piccante.» E nella lettera al Paravìa aggiungeva: «Animato dal buon successo di alcune prove, si moltiplicarono i miei lavori senz’avvedermene, e perigliando coraggiosamente fra la lode ed il biasimo, ho subìto a quest’ora due prigionìe, ed avrei compiuto il numero poetico di tre, se l’amor di padre e di marito non mi consigliasse da qualche anno alla prudenza. L’impronta libera, e diciam pur fescennina, che ridonda ne’ primi miei lavori, più che d’espressa volontà, è figlia di circostanza.
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