Non si può paragonare tra loro artisti d’ingegno e d’indole affatto contraria; non si può dire che il Gritti, scrittore d’apologhi, abbia qualità di cui manca il Buratti, poeta satirico, senza prima considerare se tali pregi, apprezzabilissimi in un apologo, sarebbero possibili in una satira. Del Lamberti e del Pastò non parlo: sono astri minori a petto dei due nominati, con buona pace del Locatelli. Appunto per semplicità il Pastò si lascia indietro il Lamberti, il quale ha fatto cose graziosissime, che sono dimenticate, e faticosi poemetti in dialetto italianizzato, che sono decantati come portenti: vedi p. e. Le quattro stagioni. In generale poi sentiva troppo l’arcadia, seminava con troppa frequenza ne’ suoi versi una sentimentalità fantastica, un lamento d’idillio, affatto in opposizione al carattere veneziano. La forma del Gritti è castigatissima; però il giro della frase è un po’ troppo studiato, e il dialetto rancido un po’, quantunque l’autore vivesse contemporaneo al Lamberti, al quale non si può certo muovere tale appunto. Non parlo di fantasia; non ne aveva; rubacchiava agli stranieri le invenzioni e le arguzie; i suoi apologhi non sono che del La Fontaine e del Florian vestiti alla veneziana; cosicchè, a rigore di critica, fu un eccellente poeta traduttore e nient’altro. Nell’invenzione è inferiore persino al Pastò ed al Lamberti. Il Buratti invece supera tutti per forza di fantasia, impetuosa come un torrente montano: e bene lo battezzò il Locatelli l’Ariosto delle lagune.
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