Amiçi, un caregon(138) ve prego in grazia,
Me sento za mancar de zorno in zorno,
De no vedarghe più gho la disgrazia,
Son sordo campanato e bon da un corno.
Me vol per far do passi el bastonçèlo,
O chi per carità me tegna sodo;
Me torno a sbrodegar(139) come un putèloCo mastego a disnar el panibrodo.(140)
Se parlo me confondo e vado in orto;
Se taso sero i ochi indormenzà;
Un prete gho viçin per mio confortoDe romparme i c...... autorizà.
Vien pur de la to falze armada el brazzo,
Carnivora de vechia ischeletrìa;
Sto mondo l’ho provà, no ’l val un c....
E megio de restar xe l’andar via.
Destrìghete,(141) che ’l nonzolo de foraBestemia se no fazzo ancuo fagoto,
E i preti de cantar no vede l’oraPer scoder(142) de la casa el candèloto.
E dire che il Locatelli accusava il Buratti di poca naturalezza!... Vera anima di poeta, quando nelle fredde mattine d’inverno lo accendeva il fuoco sacro della poesia, balzava dal letto in camicia, come un pazzo, correva alla stufa ad appuntarsi i pensieri che gli si affollavano in mente, ed alle interrogazioni della moglie maravigliata, dava per tutta risposta il verso, la parola, la sillaba che stava scrivendo. Questo fatto lo conferma un dotto amico di lui, in un lungo articolo non firmato, nell’Antologia del Viessieux.(143) «La verità appunto - scriveva - fu l’idolo al quale sacrificò le sue veglie, i suoi pensieri, e talvolta anche la tranquillità e sicurezza della sua vita; ed io l’udii narrare più volte che quando questa prepotente verità s’apriva nella sua mente, lo prendeva una tale interna, assidua e penosa agitazione, dalla quale non poteva liberarsi che prendendo in mano la penna e scrivendo.
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Locatelli Buratti Antologia Viessieux
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