Negli ultimi anni la vita del Buratti si trasforma ancora, non l’ingegno, e si trasforma principalmente in causa d’una grande sventura. Suo figlio primogenito, un amor di bambino, dopo sette anni di continua agonia, guadagnava il cielo in uno splendido giorno di maggio del 1827. Era affetto da cefosi, tremenda e inguaribile malattia che attacca il midollo della spina dorsale, si distende a poco a poco su tutta la persona, la copre di piaghe, la consuma, e finalmente si muta in cancrena. Che orribile supplizio veder soffrire così una propria creatura senza poter far nulla per essa! Il Buratti rimase come pazzo. Portargli via quel bambino, che era un tesoro di tenerezza e d’intelligenza, gli pareva un’assurdità. E pensava: come mai può la natura creare una cosa gentile per poi disfarla? E perchè far tribolare spaventosamente per sette anni il corpo innocente d’un bambino, che della vita nulla ha gustato e nulla conosce? Forse il cielo vendica nel fanciullo le colpe del padre? È questa la divina giustizia? E con tali pensieri prese la penna, e dettò lo stupendo Canto malinconico, profondamente inspirato, che commuove e fa piangere tutte le madri. Bellissima è l’apostrofe alla Provvidenza:
Parlo a ti perchè ò sentìoChe sto ragio de la mente
Ragio l’è che vien da Dio
Come un’acqua de sorgente,
E che in logo de feralEl xe sta conçesso a nu
Per convinçerne che el valDe l’istinto assae de più.
Parlo a ti perchè da quandol’alfabeto combinava,
Ne le rechie tontonando(149)
Vose tremola me andava
| |
Buratti Buratti Canto Provvidenza Dio
|