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      Venezia diventò per il poeta un soggiorno troppo triste, e si ritirò in campagna con tutta la famiglia, fin che il tempo, gran medico, rammarginasse la piaga recente. Aveva perso affatto il buon umore, inaridito l’estro, e lo udiamo confessare ad un amico:
      Ridoto misantropoDal mondo lontan.
      Per versi piaçevoliGho perso la man.
      Si consacrò intieramente alla vita di famiglia, e per conforto e svago riprese un vecchio violino, attaccato come adornamento ad una parete della sua stanza, e che non toccava da molti anni. In gioventù era stato un violinista distinto, e se ne vantava:
      Ai conçerti d’armoniaNo xe nova sta mia rechia;
      Son violin de data vechiaE in conçeto via de quà.
      Dopo un po’ di esercizio rinfrancatosi alquanto, si fece udire a Padova in una famiglia d’amici, dove c’era fra gli altri Iacopo Crescini, il quale, maravigliato, improvvisò lì per lì questo sonetto, che fu tenuto a memoria e trascritto:
      Savea ben che ti geri, e de che pèta!(150)
      Da tuto quanto el mondo venerà
      Per un genio vernacolo, un poetaChe no ghe sta l’egual ne ghe sarà;
      Ma no saveva, te la dìgo schieta,
      Che per salsa de tante qualità
      Se dovesse cavarse la barétaA la to musical abilità.
      Me son convinto dunque de do cose:
      Che musica e poesia, più che sorèle,
      In ti le se vol ben come morose.
      Marchia,(151) Platon, che ti xe andà in bordèloSe de Piero l’amor per ste putèle
      A confronto del too xe assae più bèlo.(152)
      Un anno dopo la morte del figlio, il Buratti dalla campagna diede una scappata a Bologna a salutare i fratelli.


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Il principe dei satirici veneziani Pietro Buratti
di Vittorio Malamani
Tipografia dell'Ancora Venezia
1887 pagine 115

   





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