Una cacciata di sangue, copia di senapismi, e un vescicante alla nuca, lo restituirono alla vita. Registro questo avvenimento per quanto egli potesse occorrere alla storia della vita di questo celebre poeta.»
Mercè le assidue cure del D.r Paolo Zannini, a poco a poco parve ristabilirsi, i colori gli ritornarono sul volto, gli ritornò l’allegria, e alla tavola di Zanetto Papadopoli rammentava in un brindisi la burrasca passata:
Parlo in pratica, Zaneto,
Fresco, oh Dio, dal bruseghinDe veder zìarme al leto
Come rioda da mulin;
Forse dopi i cari ogetiChe pianzeva intorno a mi,
E in razon de dopi afetiDopia fufa(156) aver quel dì.
La travegola, in origineMia compagna e spia fatal,
Asoçiar co la vertigineLa so lega miçdial;
Po una scala de languoriPer quatr’ore darme su,
E apassirme i pochi fioriDe sta spuria zoventù;
E co apena la mia sorteManco dura s’ha mostrà,
De lotar contro la morteMe son quasi consolà,
Rifletendo che i malevoliNo xe po tanti per mi,
Se una furia de benevoliPer el corso de più dì
Requie mai de campanèlaNo lassava a l’atenzion
De l’assidua sentinèlaChe vegiava sul balcon.
Tutti gli amici, infatti, e i conoscenti, al primo annunzio del male erano accorsi a informarsi; e fu notata specialmente l’assiduità della contessa Polcastro. Jacopo Crescini salutava a’ dieci maggio la creduta guarigione del poeta con un capitolo, nel quale esprimeva il voto:
Segui, o Piero, lo stil che ti sortìoLa più vezzosa delle nove Suore
Che all’ambrosia di Pindo il labbro aprìo;
Nè già t’inspiri in molle aura d’amore
| |
Paolo Zannini Zanetto Papadopoli Zaneto Dio Polcastro Crescini Piero Suore Pindo
|