Canore fole, ond’è troppo in disgustoL’italo carme, omai sceso d’onore.
Ma di quel tema che più sia robustoT’empia la mente e lo tuo stil governi,
E i tuoi versi saran pari al vetustoFlacco, ai vili flagello, al mondo eterni.
Quest’è l’ultimo omaggio che ricevette il poeta. Ritiratosi con la famiglia ne la sua villa di Mogliano Veneto, uscì dal mondo improvvisamente il dì venti di ottobre. In quel giorno medesimo il patrizio Da Mosto chiudeva la raccolta delle poesie burattiane con la nota seguente:
MOGLIANO, nella mia casa di campagna, ore otto pomeridiane del giorno 20 di ottobre 1832.
Erano da circa tre mesi ch’io non vedeva Pietro Buratti, il quale abitava nel suo luogo di campagna sul Terraglio, mentre io era a Venezia. Nel giorno 18 ottobre mi sono recato alla mia casa di campagna, pure sul Terraglio, distante poco più di un miglio da quella del Buratti.(157) La mattina del giorno 18 lo visitai. Il suo umore era gioviale come il solito, nè si querelò d’altro che d’un leggiero dolor di gola. Mi lesse tutte le poesie da lui scritte nei mesi d’agosto, settembre, e corrente ottobre. Queste, al numero di nove, cioè dal sonetto a Gamba (che scrisse dopo l’Epistola che già m’aveva fatta tenere a Venezia) fino alla sua ultima poesia: Pettegolezzi domestici. Me le affidò, al solito, affinchè le trascrivessi nella mia raccolta, e poi le aggiungessi alla sua. Il giorno 19 egli si attrovò in ottima salute. La mattina del giorno 20, dopo aver accudito a’ suoi affari, passeggiò per la sua prateria; ma colpito da leggera vertigine, rientrò in casa, ed assistito dalla famiglia, col solo suffragio di acqua e aceto si riebbe perfettamente.
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