Questa raccolta dopo la morte del gentiluomo venne alle mani di certo Manzato, il quale dopo aver tentato invano di farla stampare all’estero, la vendette nell’autunno del 1868 ad alcuni signori veneziani, per iniziativa dell’in allora podestà conte Pier Luigi Bembo, a patto che fosse depositata al Museo Correr, e che il tipografo Naratovich ne pubblicasse due volumi scelti da persona nominata appositamente. Con la raccolta fu acquistato pure il ritratto che del poeta avea dipinto il Lipparini; ma il figlio del Buratti, che vive ancora, pretende fosse quella una copia ordinata al pittore Giacomelli dal patrizio Nicolò Erizzo, e che l’originale sia da lui posseduto.(159) In ogni modo, originale o copia, udimmo dal Da Mosto, che assomigliava poco. L’edizione intrapresa nel ’64 dal Naratovich in società col Brigola di Milano, fu curata dal signor Beltrame, che era consigliere comunale. È infelicissima. Vi sono quasi più righe di puntolini che di parole, e i puntolini sciupano tutto. Se si voleva fare un’edizione veramente ad usum Delphini, perchè, si chiede, non pubblicare un volume invece che due; perchè non scegliere i componimenti puri soltanto, ma anche i non puri per il triste piacere di smozzicarli? Codeste sono profanazioni belle e buone. La proprietà letteraria dei morti si dovrebbe rispettare come la proprietà dei vivi, e un tribunale dovrebbe punire i colpevoli.
L’editore in una magra prefazione sulla vita e le opere del poeta, dalla quale poco si raccapezza per le opere e niente affatto per la vita, dichiarava di non studiare l’uomo ne’ suoi lavori perchè tale ricerca «talvolta è superflua, spesso dolorosa.
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