Parla in seguito del suo Bertiolo, caro tetto ospitale, non paragonabile colla turba dei mali delle grandi Città. Nè da questa turba eccepisce coloro, che dal Prence a regimento della pubblica cosa furono posti, così a questo passo esprimendosi:
Nè voi posti dal Prence a regimentoDella pubblica cosa, sceverati
Siete dalla gran turba. Anch’in voi ponnoLe gravi cure. Attinto un grado appena,
Quel che gli è sopra vi lusinga, ed arduaVi fate e interminabile voi stessi
La via, che a corta e facil meta un giornoScelta v’avete. Irrequieta intanto
Sta vegliandovi Invidia, e a’ vostri danniMedita e adopra.
E qui racconta il tristo caso di colui cheCinto il giovine crin della peneja
Fronde, sul Turro non per anco avevaMediche leggi e ordinamenti imposto,
dee cercar, vittima dell’invidia, esule, forse perchè onesto serviva,e mendico, un qualche tetto ospitale, che lungi dal suo Signore, lo accolga, e agli occhiVigilanti di Temide lo involi.
III. Epistola. - Racconto favoloso di niun rimarco.
IV. Epistola. - Esposizione critica sulla morte di Pietro Buratti, nel poetico avvenimento del quale si rimarcano i seguenti versi, dopo il cenno che un messo recò all’autore l’annunzio da Venezia.
. . . . . Il comun gridoChe vi correa reconne: esser di morte
Per troppo sanguinoso andar di corpoMorto in Venezia vittima già nota
Del suo fermo carattere un... di nomePietro Buratti......
Per quanto quest’ultimo voglia mostrarsi indifferente alla finzione, non mi pare che convenga lasciar correre la licenza poetica colla stampa, a scanso eziandio di amare rimembranze sulle lubriche poesie del Buratti.
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