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      «Nella natura, come nella società umana, che non è altra cosa che questa stessa natura, tutto ciò che vive, non vive che alla condizione suprema d’intervenire, nel modo più positivo e tanto potentemente quanto lo comporta la sua natura, nella vita degli altri. L’abolizione di questa influenza mutua sarebbe la morte. E quando noi rivendichiamo la libertà delle masse, non pretendiamo per nulla abolire nessuna delle influenze naturali che individui o gruppi d’individui esercitano su di esse: ciò che noi vogliamo è l’abolizione delle influenze artificiali, privilegiate, legali, ufficiali».
     
     * * *

      Certamente, nello stato attuale dell’umanità, quando la grande maggioranza degli uomini, oppressa dalla miseria ed istupidita dalla superstizione, giace nell’abbiezione, le sorti umane dipendono dall’azione di un numero relativamente scarso d’individui; certamente non si potrà da un momento all’altro far sì che tutti gli uomini si elevino al punto da sentire il dovere, anzi il piacere di regolare tutte le proprie azioni in modo che ne derivi agli altri il maggior bene possibile. Ma se oggi le forze pensanti e dirigenti dell’umanità sono scarse, non è una ragione per paralizzarne ancora una parte e per sottoporne molte ad alcune di esse. Non è una ragione per costituire la società in modo che, grazie all’inerzia che producono le posizioni assicurate, grazie alla eredità, al protezionismo, allo spirito di corpo, ed a tutta quanta la meccanica governativa, le forze più vive e le capacità più reali finiscono col trovarsi fuori del governo e quasi prive d’influenza sulla vita sociale; e quelle che giungono al governo, trovandosi spostate dal loro ambiente, ed interessate anzitutto a restare al potere, perdano ogni potenza di fare e solo servano di ostacolo agli altri.


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L'anarchia
di Errico Malatesta
pagine 75