Se riescono ad ottenere quello che vogliono, staranno meglio: guadagneranno di più, lavoreranno meno, avranno più tempo e più forza per riflettere alle cose che loro interessano, e sentiranno subito desideri maggiori, bisogni maggiori. Se non riescono, saran condotti a studiare le cause dell'insuccesso ed a riconoscere la necessità di maggiore unione, di maggiore energia, e comprenderanno infine che a vincere sicuramente e definitivamente occorre distruggere il capitalismo. La causa della rivoluzione, la causa dell'elevamento morale del lavoratore e della sua emancipazione non possono che guadagnare dal fatto che i lavoratori si uniscono e lottano per i loro interessi.
Ma, ancora una volta, è possibile che i lavoratori riescano nell'attuale stato di cose, a migliorare realmente le loro condizioni?
Ciò dipende dal concorso di una infinità di circostanze.
Malgrado ciò che dicono alcuni, non esiste una legge naturale (legge dei salari), la quale determina la parte che va al lavoratore sul prodotto del suo lavoro; o se legge si vuol formulare, essa non potrebbe essere che questa: il salario non può scendere normalmente al disotto di quel tanto che è necessario alla vita, né può normalmente salire tanto da non lasciare nessun profitto al padrone. E chiaro che nel primo caso gli operai morrebbero e quindi non riscuoterebbero più salario, e nel secondo i padroni cesserebbero dal far lavorare e quindi non pagherebbero più salari. Ma tra questi due estremi impossibili vi sono una infinità di gradi, che vanno dalle condizioni quasi animalesche di gran parte dei lavoratori agricoli fino a quelle quasi decenti degli operai dei buoni mestieri nelle grandi città. Il salario, la lunghezza della giornata e tutte le altre condizioni del lavoro sono il risultato della lotta tra padroni e lavoranti.
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