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      Quelli cercano di dare ai lavoranti il meno che possono e di farli lavorare fino a esaurimento completo; questi cercano, o dovrebbero cercare, di lavorare il meno e guadagnare il più che possono. Dove i lavoratori si contentano di tutto, o, anche essendo scontenti, non sanno opporre valida resistenza ai padroni, sono presto ridotti a condizioni animalesche di vita; dove invece essi hanno un concetto alquanto elevato del modo come dovrebbero vivere degli esseri umani, e sanno unirsi e, mediante il rifiuto di lavoro e la minaccia latente o esplicita di rivolta, imporre rispetto ai padroni, là essi sono trattati in modo relativamente sopportabile. In modo che può dirsi che il salario, dentro certi limiti, è quello che l'operaio (non come individuo, s'intende, ma come classe) pretende.
      Lottando dunque, resistendo contro i padroni, i lavoratori possono impedire, fino ad un certo punto, che le loro condizioni peggiorino ed anche ottenere dei miglioramenti reali. E la storia del movimento operaio ha già dimostrato questa verità.
      Bisogna però non esagerarsi la portata di questa lotta combattuta tra operai e padroni sul terreno esclusivamente economico. I padroni posson cedere, e spesso cedono, innanzi alle esigenze operaie energicamente espresse fino a quando non si tratti di pretese troppo grosse; ma quando gli operai incominciassero (ed è urgente che incomincino) a pretendere un tale trattamento che assorbirebbe tutto il profitto dei padroni e riuscirebbe così ad un'espropriazione indiretta, è certo che i padroni appellerebbero il governo a loro soccorso e cercherebbero di costringere colla violenza gli operai a restare nella loro posizione di schiavi salariati.


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L'anarchia
di Errico Malatesta
pagine 75