Ed anche prima, ben prima, che gli operai potessero pretendere di ricevere in compenso del loro lavoro l'equivalente di tutto ciò che han prodotto, la lotta economica diventa impotente a continuare a produrre il miglioramento delle condizioni dei lavoratori.
Gli operai producono tutto e senza di loro non si può vivere: quindi sembrerebbe che rifiutando il lavoro essi potessero imporre tutto ciò che vogliono. Ma l'unione di tutti i lavoratori, anche di un sol mestiere, anche di un sol paese, è difficile ad ottenere; ed all'unione degli operai si oppone l'unione dei padroni. Gli operai vivono alla giornata e se non lavorano presto mancano di pane, mentre i padroni dispongono, mediante il danaro, di tutti i prodotti già accumulati, e quindi possono tranquillamente aspettare che la fame abbia ridotti a discrezione i loro salariati. L'invenzione o l'introduzione di nuove macchine rende inutile l'opera di un gran numero di operai ed accresce il grande esercito dei disoccupati, che la fame costringe a vendersi a qualunque condizione. L'immigrazione apporta subito nei paesi dove gli operai riescano a star meglio, delle folle di lavoratori famelici che, volendo o no, offrono ai padroni il modo di ribassare i salari. E tutti questi fatti, derivanti necessariamente dal sistema capitalistico, riescono a controbilanciare il progresso della coscienza e della solidarietà operaia: spesso camminano più rapidamente di questo progresso e lo arrestano e lo distruggono. Presto dunque si presenta per gli operai che intendono emanciparsi, o anche solo di migliorare seriamente le loro condizioni, la necessità di difendersi contro il governo, la necessità di attaccare il governo, il quale, legittimando il diritto di proprietà e sostenendolo colla forza brutale, costituisce una barriera innanzi al progresso, che bisogna abbattere colla forza se non si vuole restare indefinitamente nello stato attuale e peggio.
| |
|