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      E poi avevamo una fede mistica nella virtù del popolo, nella sua capacità, nei suoi istinti ugualitari e libertari.
      I fatti dimostrarono allora e poi (e lo avevano già dimostrato nel passato) quanto eravamo lontani dal vero. Purtroppo la fame, quando non vi è una coscienza del proprio diritto ed un’idea che guida l’azione, non produce rivoluzioni: tutt’al più provoca delle sommosse sporadiche che i signori, se hanno giudizio, possono domare, meglio che colle fucilate dei carabinieri, col distribuire un po’ di pane e col gettare dai balconi un po’ di soldi di rame alla folla tumultuante. E noi, se il desiderio non avesse fatto velo alla nostra perspicacia, avremmo ben potuto giudicare dell’effetto deprimente, e quindi antirivoluzionario, della miseria, dal fatto che la propaganda riusciva meglio nelle regioni meno misere e tra quei lavoratori, artigiani per la maggior parte, che si trovavano in condizioni economiche meno disagiate.
      Ed in quanto agli “istinti egualitari e libertari” del popolo, ahimè, quanta fatica ci vuole per risvegliarli! Per allora, ed anche adesso in quella grande parte della massa non ancora tocca dalla propaganda, gli “istinti”, i quali sono stati formati dai millenario servaggio, spingono i lavoratori piuttosto al timore e, quel ch’è peggio, al rispetto ed all’ammirazione dei padroni, e quindi ad una docile sottomissione.
      Era dunque impossibile una vittoria facile e rapida.
      Ma, a parte la questione di tempo, io credo sempre dopo tutto quello che ho veduto, che le nostre speranze non erano vane e la nostra tattica non era sbagliata.


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Rivoluzione e lotta quotidiana
di Errico Malatesta
pagine 338