Comprendiamo che vi siano degli oppressi che, essendo stati sempre trattati dai borghesi con la più ignobile durezza e avendo sempre visto che tutto era permesso al più forte, un bel giorno, diventati per un istante i più forti, si dicano: “Facciamo, anche noi, come i borghesi”. Comprendiamo come possa accadere che, nella febbre della battaglia, nature originariamente generose ma non preparate da una lunga ginnastica morale, molto difficile nelle condizioni presenti, perdano di vista lo scopo da conseguirsi, prendano la violenza come fine a sè stessa e si lascino trascinare ad atti selvaggi.
Ma altro è comprendere e perdonare certi fatti, altro è rivendicarli e rendersene solidali. Non sono quelli gli atti che noi possiamo accettare, incoraggiare ed imitare. Dobbiamo essere risoluti ed energici, ma dobbiamo altresì sforzarci di non oltrepassare mai il limite segnato dalla necessità. Dobbiamo fare come il chirurgo che taglia quando bisogna tagliare, ma evita di infliggere inutili sofferenze; in una parola dobbiamo essere ispirati e guidati dal sentimento dell’amore per gli uomini, per tutti gli uomini.
Ci sembra che questo sentimento di amore sia il fondo morale, l’anima del nostro programma; che solo concependo la rivoluzione come il più grande giubileo umano, come la liberazione e l’affratellamento di tutti gli uomini - non importa a quale classe o a quale partito abbiano appartenuto - il nostro ideale potrà realizzarsi.
La ribellione brutale avverrà certamente; e potrà servire, anche, a dare il gran colpo di spalla, l'ultima spinta che dovrà atterrare il sistema attuale: ma se essa non troverà il contrappeso nei rivoluzionari che agiscono per un ideale, una tale rivoluzione divorerà se medesima.
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Facciamo
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