Ma questa questione della ricerca delle responsabilità c’interessa mediocremente.
Noi non crediamo nel diritto di punire, noi respingiamo l'idea di vendetta come sentimento barbaro: noi non intendiamo essere giustizieri, nè vendicatori. Più santa, più nobile, più feconda ci pare la missione di liberatori e di pacificatori.
Ai re, agli oppressori, agli sfruttatori noi tenderemmo volentieri la mano, quando soltanto essi volessero tornare uomini fra gli uomini, uguali tra gli uguali. Ma intanto che essi si ostinano a godere dell’attuale ordine di cose ed a difenderlo colla forza, producendo così il martirio, l’abbrutimento e la morte per stenti a milioni di creature umane, noi siamo nella necessità, siamo nel dovere di opporre la forza alla forza.
Opporre la forza alla forza!
Vuol dire ciò che noi ci dilettiamo in complotti melodrammatici e siamo sempre nell’atto o nell’intenzione di pugnalare un oppressore?
Niente affatto. Noi aborriamo alla violenza per sentimento e per principio, e facciamo sempre il possibile per evitarla: solo la necessità di resistere al male coi mezzi idonei ed efficaci ci può indurre a ricorrere alla violenza.
Sappiamo che questi fatti di violenza singola, senza sufficiente preparazione nel popolo restano sterili e spesso, provocando reazioni a cui si è incapaci a resistere, producono dolori infiniti e fanno male alla causa stessa a cui intendevano servire.
Sappiamo che l’essenziale, l’indiscutibilmente utile si è, non già l’uccidere la persona di un re, ma l’uccidere tutti i re - quelli delle corti, dei parlamenti e delle officine - nel cuore e nella mente della gente; di sradicare cioè la fede nel principio di autorità a cui presta culto tanta parte del popolo.
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